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Visitare Roma con lo sguardo all’insù, ascoltando le storie che si nascondono dietro le targhe sui muri. Pietre che parlano di palazzi, chiese, alberghi, case e dei loro ospiti molto, ma molto speciali.
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Pietre Parlanti annalisa.r

    • Society & Culture

Visitare Roma con lo sguardo all’insù, ascoltando le storie che si nascondono dietro le targhe sui muri. Pietre che parlano di palazzi, chiese, alberghi, case e dei loro ospiti molto, ma molto speciali.
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    Pier Paolo Pasolini

    Pier Paolo Pasolini

    Una delle targhe, e delle case, di Pasolini a Roma

    Wilhelm Waiblinger

    Wilhelm Waiblinger

    Questa è la storia di un poeta estinto mentre andava cercando libertà, da chiuso morbo combattuto e vinto. Questa è la pietra parlante di Wilhelm Waiblinger, consunto dalla tisi al primo piano di via del Mascherone 62, angolo via Giulia. Era il 1826 e l’inquieto studente di Tubinga aveva davvero bisogno di sognare. Passeggiatore solitario e fashion victim, piccola anima smarrita tra donne e poesia, si era fatto cacciare da scuola. Non bastava a consolarlo quell’amico folle che viveva in una torre e si riempiva le tasche di sassi. Spacciandosi per corrispondente letterario, Waiblinger fuggì a Roma dove:
    -diede fondo a tutte le sue ghette, vagando sempre più inquieto tra città e campagna.
    -incontrò un nuovo amico, il poeta Auguste Von Platen, che invidiava perché si vestiva meglio di lui ma che gli diede anche una mano a sopravvivere.
    -incontrò la colonia tedesca a Roma, gentaglia stupida, pettegola, meschina, come quei Nazareni, che deliravano sui Nibelunghi e Pinturicchio.
    -incontrò Nazarena di Olevano Romano, musa di un Parnaso contadino che gli ispirò i “Canti di Nazarena” e i “Canti dell’infedeltà”.
    -incontrò altre contadine, cameriere, cittadine, pazze di quella faccia d’angelo caduto tra le osterie, i caffè, i teatri. L’ultima fu Nena, una focosa trasteverina, detta “Cornacchia”. Gli diede due figli e tutto l’amore necessario per accompagnarlo sereno nei suoi campi elisi.
    Prima di morire Waiblinger scrisse altre poesie, corrispondenze di viaggio, una fiaba e una modernissima satira sul turismo inglese. Ma la sua opera più grande è aver capito che dentro l’amico folle chiuso nella torre con le tasche piene di sassi si nascondeva un genio, Friedrich Hölderlin.

    Santa Brigida di Svezia

    Santa Brigida di Svezia

    In piazza Farnese, il palazzo omonimo vi aspetta con Sangallo e Michelangelo. A destra, al numero 96, c’è una chiesa e una pietra che parla di Santa Brigida di Svezia.
    Quando arrivò a Roma, nel 1350, era una principessa, vedova e madre, che aveva avuto una visione, fondare un ordine monastico. Ma aveva bisogno del papa così, da questa casa, cominciò a:
    -scrivere al papa, “prigioniero” ad Avignone, che tornasse nell’Urbe per approvare l’Ordine del Santissimo Salvatore.
    -scrivere al papa che tornasse subito, perché a Roma stava andando tutto a rotoli, strade di fango ed erbacce, vipere e rospi, anche nel clero.
    -richiamare i romani ad una maggiore moralità, solo che qualcuno la prese male e una notte stava per darle fuoco.
    -richiamare i potenti all’ordine, perché non se ne poteva più di quell’Europa divisa e sempre in guerra.
    -studiare il latino, darsi ad opere di carità, chiedere l’elemosina alle porte delle chiese.
    -offrire la sua casa ai pellegrini svedesi, che, grazie a lei, arrivavano sempre più numerosi.
    -pellegrinare lei stessa tra Assisi, Amalfi, Bari, Napoli, fino al cammino estremo, il Santo Sepolcro a Gerusalemme, dove si ammalò.
    Di ritorno dalla Terrasanta, nel 1373, Brigida lasciò questa terra proprio in questa casa, che ancora oggi ospita pellegrini e turisti di ogni confessione. Ma ce l’aveva fatta. Il papa era tornato a Roma, anche se poco, e aveva approvato l’Ordine del Santissimo Salvatore. Il corpo della santa venne portato in Svezia che tuttora la venera come patrona. E senza di lei, a Lamporecchio non avrebbero saputo come chiamare quei dolcetti tanto buoni.

    Gioachino Rossini

    Gioachino Rossini

    Al primo piano di un palazzo storico, di via dei Leutari 35, Gioachino Rossini trovò le armonie sempre nuove del Barbiere di Siviglia, dice una targa. E una delle più grandi delusioni della sua vita, disse lui. Era il novembre del 1815, triste era Roma, in pugno ad un papa che io i teatri li chiuderei tutti. Fortuna che il cardinale segretario di Stato la pensava diversamente, voleva allegria e dunque la stella dell’opera buffa. In cambio di un ottimo ingaggio Rossini promise “Il Barbiere”, ma:
    -fece a botte con i tempi di consegna, un precipitoso crescendo che neanche i suoi.
    -fece a botte con l’impresario del Teatro Argentina, dove l’opera andava in scena, per la scelta di cantanti e librettista.
    -fece a botte con la sera della prima, quando leggenda dice che tutto quel che poteva andare a rotoli rotolò: un gatto nero sul palcoscenico, un cantante per terra, la pancia di Rossini dentro la ridicola zimarra.
    -fece a botte col pubblico della prima che non smise mai, tranne che per qualche aria, di fischiare l’opera.
    -fece a botte con sè stesso perché proprio non capiva quel fiasco, e neanche noi.
    -fece a botte col Barbiere, tagliando lo spartito per la seconda rappresentazione, alla quale, dandosi malato, nemmeno si presentò. Almeno fu un trionfo, la sera dopo uguale e così sempre, per duecento e tre anni.
    Rossini lasciò Via dei Leutari nel marzo del 1816, ma tornò a Roma per altre prime, divertendosi un po’ di più. Tipo una sera di Carnevale quando, travestito da donna, chiese l’elemosina suonando la chitarra per le strade del centro. Con lui, un altro pazzo en travesti che da come strapazzava il violino era sicuro quel suo amico, sì, dai, Niccolò Paganini.

    Costanza Monti Perticari

    Costanza Monti Perticari

    Una targa tutta per te no, eh? Dovevi essere la figlia di, la moglie di e di chi poi... E allora, cara Costanza, questa pietra parlante è per te e per tutte quelle che furon lì lì ma non furono.
    -Sei nata in questa casa di via dei Prefetti 22, nel 1792, da Teresa Pikler, attrice chiacchierata che ti amò ben poco e da papà Vincenzo, Monti, il poeta. T’adorava, ma sempre a caccia di un potente da adulare non aveva tempo per te. Così ti mandò in Romagna, a studiare dalle Orsoline.
    -Crescevi bene, piena di grazia, dottissima, un gioiello. Poi, come sempre accade, perle ai porci. A 20 anni convolasti a nozze con un conte pesarese scelto da mamma, che al solito scelse per te il peggio.
    -Pretese una cospicua dote, in cambio ti offrì titoli e corna e se provavi a prenderti i tuoi spazi la macchina del fango in moto andava.
    -Ma tu volevi solo essere qualcuno perchè sapevi fare tutto, prosa, poesia, teatro, per poi non dire del tuo amato Dante, che commentavi con perizia vera. Oltre la siepe volevi volare, così convincesti il conte a trasferirvi a Roma, la tua città, che tua, però non era più.
    –Gente oziosa, ladra e peggio se vi è, qual contrasto fra Roma antica e Roma ora meschina scrivevi disperata. Nella Biblioteca Vaticana non potevi entrare, nei salotti del Papa non volevi, il signor conte continuava a rincorrere sottane, ebbe anche un figlio, mentre il tuo morì neonato.
    -Tornaste a Pesaro, più lontani che mai. Il conte si ammalò, i medici non capirono, morì. Contro di te l’inferno, dicevano perfino l’avessi avvelenato. Fu tutto un combattere, per discolparti, per la tua dote. E quando, finalmente, dalle tue Orsoline, ti rifugiasti a tirare il fiato, nel petto un sussulto: il primo segnale del tumore che ti portò via, a nemmeno 50 anni.

    Adelaide Ristori

    Adelaide Ristori

    Capita che una targa si divida in due. Aldo Palazzeschi e Adelaide Ristori, coinquilini separati dal tempo, nel palazzo di Via dei Redentoristi 9, il palazzo di Adelaide marchesa Capranica del Grillo, l’attrice italiana più famosa dell’800.
    Nata letteralmente su un palco, ci diventò grande, fino a quando una sera, a Roma, chiese di lei il proprietario del Teatro Metastasio, Giuliano Capranica del Grillo: voleva sposarla. Un marchese e un’attrice, quando mai. Invece Giuliano si mise a servizio perché lei potesse:
    -oltrepassare le Alpi e conquistare Parigi, e George Sand, e de Lamartine, con Dumas che le rubò la ricetta dei maccheroni.
    -oltrepassare la Manica e conquistare Londra, con la regina Vittoria che la trovò “una cosa sublime”.
    -oltrepassare l’Europa e conquistare San Pietroburgo, con lo zar che l’ascoltò in missione diplomatica per Cavour.
    -oltrepassare l’Oceano e conquistare New York, e il generale Grant, e Pedro II del Brasile.
    -oltrepassare ogni confine e conquistare il mondo, con le sue regine tragiche, i vestiti che le faceva Worth, i suoi attori, la sua interpretazione.
    -oltrepassare i tempi, con il suo essere marchesa, lavoratrice, moglie/madre devota.
    Dopo la morte del marito, Adelaide Ristori si ritirò a Palazzo Capranica, dove ogni giorno qualcuno andava a renderle omaggio. Il 29 gennaio del 1902 entrò Vittorio Emanuele III, un onore mai reso ad altro artista. La struttura originaria di Palazzo Capranica risale al Cinquecento e ci deve essere un certo non so che se il 7 settembre del 1791 ci nacque anche Giuseppe Gioachino Belli. La targa la trovate nella vicina via Monterone.

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