Il caso Giulia Cecchettin: Cosa c'è nella testa degli uomini violenti? Con Cristina Oddone
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Per la prima volta da molto tempo, la questione è in cima all’agenda della discussione pubblica e della politica. Ma in questo caso la politica arriva dopo la società. E’ l’effetto del femminicidio di Giulia Cecchettin.Ci sono molte ragioni per cui questo omicidio non ha lasciato indifferenti come i tanti altri che l’hanno preceduto e già seguito.A mio parere la principale è che ha riproposto la questione come divisiva, problematica, dopo che era stata normalizzata dalle tante diluizioni simboliche.Quando qualcosa arriva a Sanremo - vedi Chiara Ferragni e il suo abito “Pensati libera” - significa che è diventato innocuo. La morte di Giulia Cecchettin, invece, ha ricordato che la violenza di genere non è un argomento di discussione come gli altri. E che molte delle semplificazioni non reggono. Se il femminicidio è un retaggio e la manifestazione più tragica della cultura patriarcale, perché giovani uomini cresciuti in una società molto più paritaria di quella dei loro genitori ne sembrano rinnovati interpreti? Ho cercato di capirne di più in una conversazione con Cristina Oddone, sociologa, ricercatrice e docente all’Università di Strasburgo, che ha studiato a lungo il fenomeno della violenza maschile. Sia nella sua cornice interpretativa, che nelle sue dinamiche concrete: ha condotto ricerche etnografiche con lunghe interviste a uomini violenti nei centri di assistenza, sia in Italia che in Francia. Ne ha scritto in un libro importante,Uomini normali (Rosenberg & Sellers). Se sono uomini normali, non mostri, non geneticamente diversi, quelli che finiscono per interpretare in modo violento il contesto sociale nel quale sono cresciuti e gli squilibri di genere che lo caratterizzano, allora siamo tutti femminicidi in potenza?
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Published 03/12/24
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