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Strangolata. Fu così che morì Simonetta Aramu: il suo corpo senza vita venne ritrovato nel suo modesto appartamento in via Oxilia. La donna giaceva cadavere con le ginocchia sul pavimento e il busto sul letto disfatto. Le braccia a penzoloni e un collant annodato al collo, lo stesso che fu usato come arma del delitto.
Dei soldi che la donna teneva in casa nessuna traccia, probabilmente dunque tra i moventi del delitto vi erano questioni di denaro. La casa però era in ordine, segno che Simonetta conosceva il suo killer e lo aveva lei stessa invitato ad entrare nella stanza.
Tutti i sospetti ricaddero dunque sul suo unico figlio, Morgan. Diciassette anni, non studiava e non lavorava. I soldi erano il più grande tema di discussione con la madre, con cui il ragazzo non aveva un rapporto idilliaco, tanto da andare a vivere a casa dell’allora fidanzata.
Torchiato dalla polizia, Morgan confessò il delitto infine il matricidio per poi ritrattare dopo poco tempo. Al processo, celebrato al Tribunale dei minori, a sorpresa venne poi scagionato in via definitiva. Tutto merito di una prova sfuggita alle indagini: un capello di un estraneo ritrovato nel letto di Simonetta. Un estraneo, però, destinato a rimanere senza nome e ritenuto il vero killer di Simonetta Aramu.
Si chiamava Vincenzo Raiola il poliziotto che morì in quel maggio del 1999. Il decesso avvenne a causa di una ferita alla testa, riportata durante un conflitto a fuoco con un gruppo di rapinatori in via Imbonati.
Alle 5 del mattino del 14 maggio una banda di criminali, armata di fucili d’assalto...
Published 06/28/21
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Published 06/23/21