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Tra gli atti più spietati che permisero alle mafie di ricavare denaro da reinvestire in altre attività illecite, in particolar modo il traffico di droga, ci furono, nella seconda metà del Novecento, i sequestri di persona. Tra questi rientra anche il caso di Augusto Rancilio, figlio del facoltoso costruttore Gervaso Rancilio il quale spese gli ultimi anni della sua vita alla disperata ricerca delle spoglie del giovane.
La mattina del 2 ottobre 1978 Augusto e Gervaso era insieme, quando si recarono in uno dei loro cantieri a Cesano Boscone per controllare l’andamento dei lavori. Fu lì che avvenne l’agguato: un commando di banditi a volto coperto accerchiò padre e figlio, cominciando con loro una colluttazione che terminò con la sopraffazione del giovane, seguita da un'immediata fuga verso la tangenziale e, poi, verso l’autostrada milanese. Il padre del ragazzo rapito ammise subito la sua impossibilità a soddisfare qualsiasi richiesta in termini economici da parte dei rapitori del figlio.
Nonostante avesse negli anni costruito interi quartieri sia in Italia che in Francia, infatti, tutte le società a lui riconducibili erano sovvenzionate dalle banche.
Sul giovane Augusto si stese un velo di silenzio fino ai primi anni del 1990, quando il boss calabrese Saverio Morabito cominciò a collaborare con la magistratura, spiegando i legami fra ’ndrangheta calabrese e mafia siciliana e svelando i retroscena di omicidi, sequestri e rapine avvenuti nel territorio nei decenni precedenti, nonché permettendo l’arresto della maggior parte dei membri della banda. Secondo la ricostruzione Augusto morì dunque durante un tentativo di fuga, i resti del suo corpo però non vennero mai ritrovati.
Si chiamava Vincenzo Raiola il poliziotto che morì in quel maggio del 1999. Il decesso avvenne a causa di una ferita alla testa, riportata durante un conflitto a fuoco con un gruppo di rapinatori in via Imbonati.
Alle 5 del mattino del 14 maggio una banda di criminali, armata di fucili d’assalto...
Published 06/28/21
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Published 06/23/21