Come si può spiegare l’omicidio di un medico, uomo per bene e padre di famiglia senza nessun nemico? Umberto Premoli trovò la morte mentre rientrava a casa, nella notte del 30 ottobre 1976. Guidava la sua FIAT 132 quando, arrivato in viale Monte Ceneri, venne bloccato da due uomini che gli bloccarono la strada e gli fecero cenno di fermarsi. Entrambi erano armati: impugnavano rispettivamente una carabina semiautomatica e un fucile a canne mozze. Premoli tentò di scappare mettendo la retromarcia ma venne colpito dai primi spari. Tentò allora di fuggire a piedi, ma i banditi gli spararono altri dodici colpi lasciando il suo corpo esanime. La dinamica del delitto venne ricostruita da alcuni inquilini dei palazzi di zona, che assistettero alla scena dalla finestra. I due killer, una volta ucciso l’uomo, rubarono la sua macchina che aveva però subito dei danni causati dal tentativo di fuga. Ecco allora che la stessa dinamica si riprodusse pochi minuti dopo a discapito di altre vittime di passaggio: due svizzere che transitavano su una Opel e un cittadino francese fermo al semaforo rosso nella sua Citroen. Loro però, fortunatamente, non vennero colpiti mortalmente. Gli autori di questo susseguirsi di terrore vennero arrestati due settimane dopo: erano Claudio Gatti e Vito Pesce, entrambi tossicodipendenti e appartenenti alla banda di Renato Vallanzasca, “re della Comasina” e allora nemico pubblico numero uno. A muovere la loro ferocia fu il tentativo di fuga per paura di cadere vittime di una banda rivale che cercarono di depistare rubando diverse auto.