Il 13 marzo 1975 Sergio Ramelli, appena tornato da scuola, parcheggia il motorino vicino la sua abitazione in via Paladini 15. Sceso dalla sella viene accerchiato da un gruppo di coetanei, militanti contigui ad Avanguardia operaia, armati di lunghe e pesanti chiavi inglesi. Segue un pestaggio gravissimo che lascia Sergio inerme, ferito alla testa e in un lago di sangue. Portato all’ospedale in disperate condizioni, morirà più di un mese e mezzo dopo a causa dei traumi riportati. La colpa di Sergio fu quella di aver messo per iscritto la propria visione politica sulle pagine di un foglio protocollo scritto per un compito in classe. Una visione che evidentemente, negli anni che correvano, non rispecchiava affatto il pensiero dominante. Simpatizzante e militante di destra, Sergio osò infatti accusare l’operato delle Brigate Rosse, esprimendosi sullo scottante tema d’attualità. Il compito però, invece di finire sulla scrivania del professore, finì sulla bacheca dell’istituto scolastico che frequentava decretando così la sua condanna a morte. Additato come fascista, schernito e isolato dai suoi compagni, Sergio Ramelli da quando scrisse quel tema non potè più dormire sonni tranquilli. Dopo essere stato perseguitato e intimidito, a causa di quelle parole, finì anche per trovare la morte. Gli autori del fatto furono individuati solo a distanza di circa dieci anni e furono condannati con sentenza definitiva solo nel 1990. Oggi, in memoria del ragazzo, è stato intitolato un piccolo giardino a Città Studi.