Istat rivede al ribasso stime inflazione, ad aprile +0,8%. Ma pesa sempre sui più poveri e gli stipendi rimangono al palo
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L'Istat rivede al ribasso stime inflazione di aprile. Nel mese scorso si stima che l indice nazionale dei prezzi al consumo per l intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, aumenti dello 0,1% su base mensile e dello 0,8% su base annua (da +1,2% del mese precedente); la stima preliminare era +0,9%. Ad aprile l inflazione torna a dunque scendere, riportandosi allo stesso livello di gennaio e febbraio (+0,8%). La lieve decelerazione risente perlopiù della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (-13,9% da -10,3% di marzo) e dei Servizi relativi ai trasporti (+2,7% da +4,5%). In leggero rallentamento risultano anche i prezzi dei Beni alimentari (+2,4% da +2,7%). Di contro, i prezzi dei Beni energetici regolamentati, nonostante il sensibile calo su base congiunturale (-10,1%), mostrano un profilo tendenziale in netta risalita (-1,3% da -13,8%). Continua a scendere, anche ad aprile, il ritmo di crescita su base annua dei prezzi del carrello della spesa (+2,3% da +2,6%), mentre l inflazione di fondo si attesta al +2,1% (da +2,3%).  L'inflazione acquisita per il 2024 è pari a +0,6% per l indice generale e a +1,6% per la componente di fondo. Intanto sempre l'Istat ieri ha ricordato che tra il 2014 e il 2023, la spesa equivalente delle famiglie è cresciuta in termini nominali del 14% ma se si depura dalla crescita dei prezzi è diminuita del 5,8%. Lo rileva l'Istat nel suo Rapporto annuale sottolineando che l'impoverimento è stato generalizzato ma, che "il calo è stato più forte per le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi, appartenenti al primo e al secondo quinto della distribuzione" con una riduzione rispettivamente del volume degli acquisti dell'8,8% e dell'8,1%. Le famiglie del ceto medio e medio-alto, appartenenti al terzo e quarto quinto, hanno diminuito le loro spese reali in maniera più significativa rispetto alla media nazionale (-6,3% il terzo e -7,3% il quarto) mentre le famiglie più abbienti, appartenenti all'ultimo quinto, hanno contenuto le proprie perdite con un -3,2%. Sempre l'istituto ricorda che l'occupazione cresce, soprattutto nella componente a tempo indeterminato. Ma, purtroppo, è in salita anche il lavoro povero; le retribuzioni perdono terreno; e la produttività del lavoro continua a ristagnare. È questa in sintesi la fotografia sul lavoro scattata dall Istat, ieri, nel suo rapporto annuale. Partiamo dagli occupati. Nel biennio 2022-2023 il loro numero è cresciuto a ritmi sostenuti: +1,8 per cento in entrambi gli anni (a fronte di una crescita del Pil molto più contenuta). A trainare sono i servizi e le costruzioni, spinte, queste ultime, dai generosi bonus edilizi introdotti (in questo settore, l occupazione è aumentata del 16,2%, contribuendo per un punto percentuale alla crescita complessiva). Il tasso di occupazione nel 2023 si è attestato al 61,5%, guadagnando due punti rispetto al 2019 (in Germania siamo però 15,9 punti in più); l incidenza del lavoro a termine (sul totale dei dipendenti) è diminuita di 0,9 punti (sul 2019), mentre è salita la quota di occupati part-time (17,6% del totale). Per le donne l incidenza del part-time è quattro volte superiore a quella degli uomini (rispettivamente 31,4 e 7,4%). Larga parte del lavoro part-time è involontario: il 54,8% dei lavoratori a tempo parziale infatti vorrebbe lavorare di più.Complice anche l impennata inflattiva, emerge la questione salariale. Nel 2022 erano 4,4 milioni i dipendenti privati che si collocavano nella fascia a bassa retribuzione annuale (sotto la soglia del 60% del valore mediano): giovani, donne e stranieri sono i più penalizzati. Non solo. Tra il 2013 e il 2023 il potere d acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l 1,1% della Francia e il 5,7% della Germania. Secondo i dati dell Indagine sul reddito e le condizioni di vita (Eu-Silc) nel 2022 la quota di occupati a rischi
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