Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 25 maggio 2015
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Commento a Atti 28, 11-24Così arrivammo a Roma La navigazione per raggiungere Roma riprende dopo tre mesi. La nave viene da Alessandria e porta le insegne dei “Dioscuri”, i gemelli figli di Giove, protettori dei naviganti. La prima sosta è a Siracusa dove restano tre giorni. Da lì giungono a Reggio, sullo stretto tra Scilla e Cariddi e, dopo un giorno di navigazione, un vento australe li spinge in tre giorni a Pozzuoli, nel Golfo di Napoli, grande porto tra Roma e l’Oriente. Lì trovano una comunità cristiana, dove sono pregati di restare sette giorni. Nel frattempo la notizia del suo arrivo lo precede a Roma. Paolo arriva a Roma con questi sentimenti: “Quanto a me il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione” (2 Tm 4,6-8). Dei fratelli di Roma gli vengono incontro al foro Appio e alle tre Taverne, rispettivamente a 65 km e 50 km da Roma. La cosa gli dà coraggio. Temeva di non essere accolto bene. Gli Atti sono sobri sull’accoglienza ricevuta a Roma. Ce ne parla però in termini negativi 2Tm 4,9-18. E “così arrivammo a Roma”, la meta desiderata. Luca, che ha seguito Paolo, esprime con sobrietà il grande evento. Da qui scompare dalla narrazione il “noi”. L’obiettivo è puntato solo su Paolo, il protagonista. Dio aveva scelto lui come “vaso eletto” per portare il nome di Gesù a tutti i pagani ( At 9,15). A Roma è concesso a Paolo di restare fuori prigione, agli arresti domiciliari con un soldato di guardia. Dopo tre giorni, non potendo andare in sinagoga, convoca i notabili Giudei. Ovunque è andato, Paolo si è sempre prima rivolto ai Giudei, destinatari della promessa. Li ama tanto da dire: “ Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne (Rm 9,3). Davanti a loro Paolo si presenta e fa una breve apologia di sé: ha fatto nulla contro il popolo e le sue tradizioni. Eppure fu consegnato ai Romani, per l’equivoco che conosciamo sul tempio. Fu riconosciuto innocente e volevano liberarlo, ma i Giudei si opponevano. Per questo fu costretto ad appellarsi a Cesare. Dicendo sobriamente cose note al lettore, conclude che le sue catene sono solo a motivo della speranza d’Israele, ossia la risurrezione, che contrappone Sadducei e Farisei. A Roma non sanno nulla di questo, ma desiderano sapere qualcosa sulla setta o partito dei seguaci di Gesù, che trova ovunque opposizione. Fissano un giorno per incontrarsi; e numerosi di Giudei si recano da lui. E lui rende davanti a tutti testimonianza sul Regno di Dio, ossia Gesù, compimento della Legge e dei profeti. Parla da mattino a sera. Come sempre, alcuni furono convinti e altri restavano increduli. Divisione del testo: a. vv. 11-13: viaggio da Malta a Pozzuoli b. vv. 14-15: da Pozzuoli a Roma c. vv. 16-20: entrata in Roma e apologia di Paolo verso i Giudei d. vv. 21-22: niente contro Paolo e desiderio di conoscere l’eresia cristiana e. vv. 23-24: testimonianza su Gesù accolta o rifiutata
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