Gioachino Rossini
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Al primo piano di un palazzo storico, di via dei Leutari 35, Gioachino Rossini trovò le armonie sempre nuove del Barbiere di Siviglia, dice una targa. E una delle più grandi delusioni della sua vita, disse lui. Era il novembre del 1815, triste era Roma, in pugno ad un papa che io i teatri li chiuderei tutti. Fortuna che il cardinale segretario di Stato la pensava diversamente, voleva allegria e dunque la stella dell’opera buffa. In cambio di un ottimo ingaggio Rossini promise “Il Barbiere”, ma: -fece a botte con i tempi di consegna, un precipitoso crescendo che neanche i suoi. -fece a botte con l’impresario del Teatro Argentina, dove l’opera andava in scena, per la scelta di cantanti e librettista. -fece a botte con la sera della prima, quando leggenda dice che tutto quel che poteva andare a rotoli rotolò: un gatto nero sul palcoscenico, un cantante per terra, la pancia di Rossini dentro la ridicola zimarra. -fece a botte col pubblico della prima che non smise mai, tranne che per qualche aria, di fischiare l’opera. -fece a botte con sè stesso perché proprio non capiva quel fiasco, e neanche noi. -fece a botte col Barbiere, tagliando lo spartito per la seconda rappresentazione, alla quale, dandosi malato, nemmeno si presentò. Almeno fu un trionfo, la sera dopo uguale e così sempre, per duecento e tre anni. Rossini lasciò Via dei Leutari nel marzo del 1816, ma tornò a Roma per altre prime, divertendosi un po’ di più. Tipo una sera di Carnevale quando, travestito da donna, chiese l’elemosina suonando la chitarra per le strade del centro. Con lui, un altro pazzo en travesti che da come strapazzava il violino era sicuro quel suo amico, sì, dai, Niccolò Paganini.
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