La peste
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Nella Basilica di Santa Maria del Popolo, nella piazza del, c’è più di una targa, ma questa storia comincia in una locanda di Trastevere, dove, nel 1656, scese un pescajuolo napoletano. Era malato, finì allo spedale, morì. Vedendo un pomfo sul tapino, qualcuno pensò: “E’ peste”. Qualcun altro pensò di no e si scelse di tacere. Ma quando il pomfo colse anche la locandiera, tutti convennero: “E’ peste”. Il papa convocò una task force d’emergenza, che ogni mattina si riuniva per: -approntare cordoni sanitari, nelle zone di mare e di confine; chiudere le strade secondarie; lasciare aperte solo 8 porte della città, presidiando ciascuna con le armi; disinfettare i soldi nell’aceto; punire i trasgressori. Ma il morbo penetrò lo stesso. Il papa allora: -allestì un lazzaretto di primo soccorso sull’Isola Tiberina, dove si poteva arrivare solo via fiume. -ne allestì altri due a San Pancrazio e a Casale Pio V, per le convalescenze. -ne allestì un quarto dentro via Giulia, post convalescenza e un quinto a Sant’Eustachio, per i soggetti a rischio. -impedì a medici, chirurghi e compagnia di uscire da Roma, pena la morte e la confisca dei beni. -indisse un giubileo per chiedere aiuto in alto, ma la gente aveva paura a uscire e a giubilare rimasero i prelati. -corresse il tiro con digiuni e preghiere, sospese le processioni, le prediche di piazza, feste e consessi civili e letterari. Ma la peste continuò, fino all’agosto dell’anno dopo. Il papa venne a celebrarne la fine in Santa Maria del Popolo, con un solenne Te Deum. I morti furono quasi 15mila, a fronte di 100mila abitanti. Eppure, furono meno che in altre città.
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