Felix Mendelssohn Bartholdy
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Questa è una pietra prigioniera. La dicitura c’è, le dimensioni anche, così come il posto dove si potrebbe collocare, Piazza di Spagna 5. Una proposta del Maestro Roberto Prosseda e del professor Aldo Bernardini, che tanto fanno per Mendelssohn in Italia. Ma la Soprintendenza di Stato ha detto: “La posizione del marmo non è compatibile con gli stilemi del progetto architettonico”. Peccato, sarebbe stato un modo per ricordarsi che: -Mendelssohn venne a Roma nell’autunno del 1830. Enfant prodige cresciuto prodigioso, di Goethe pupillo, nipote di filosofo, talent di un Bach dai secoli tradito, pianista e interprete applaudito, pittore abile, conversatore amabile, che faccio lascio? -Era subito sera tra inviti a palazzi, un salto al Caffè Greco evitando i Nazareni, zozzoni che si credono Tiziano, discorsi profondi col grande Thorvaldsen, scherzi musicali con l’amico Berlioz, contorto e senza una scintilla di talento. –La musica per Felix stava altrove, dalle suore di clausura dietro casa, che gli ispirarono Mottetti poi cantati da quei veli al mondo muti. -Che crollo, però, la musica in Italia… orchestre scadenti, strumentisti indegni, interpreti mediocri, gente insensibile e il fuggi fuggi dei grandi cantanti. –E non era solo la musica il problema: quando si vede una parte delle Logge del Raffaello scrostata per far posto a scritte con la matita, quando tra le stupende sale di Villa Madama si caccia il bestiame e vi si conserva il foraggio solo per indifferenza verso ciò che è bello tutto ciò è ancora peggio di una cattiva orchestra. Questo paese incauto finì comunque in un bell’epistolario e, con più gloria, nella sinfonia dove si sentono davvero fiorire i limoni: la numero 4, l’Italiana, ovvio.
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