Sigmund Freud
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Roma è sempre stata un grande albergo e non si può mica mettere una pietra sopra tutti. Ma quando uno scrive “stile eccellente, camera stupenda, lunch squisito”, il tripadvisor delle targhe chiede menzione per Sigmund Freud che si registrò all’Hotel Eden, zona via Veneto, il 16 settembre del 1912. Era un habitué della città ma che fatica venir qui la prima volta. Sognava Roma da sempre ma quel sogno non riusciva a interpretarlo: se non avesse retto la realtà? L’impatto infatti fu una botta perché di Rome ne trovò ben tre. La prima, antica, lo travolse tutta con il suo peso di rovine e miti. Con la seconda, quella Vaticana, invece male. Era scienziato, di famiglia ebraica, insomma, blocco. Trovò invece simpatica la terza, la Capitale giovane e in fermento, dove si diede al turismo totale. E la monetina a Trevi e la manina nella Bocca della Verità e il Palatino. 12 giorni matti e felicissimi, niente da fare, doveva ritornare. Furono sette in tutto i viaggi a Roma: adorava Villa Borghese, una Schönbrunn degna di un Prater, il cinema all’aperto di piazza Colonna, dove scorrevano pubblicità del nuovo secolo, il teatro Quirino, dove si poteva fumare in corridoio. Comprava souvenir da portare ai suoi e con sé, gardenie per risollevare l’umore, giocando a fare il ricco signore che vive di passioni. La mente però in vacanza non ci riusciva a andare. Quasi ogni giorno Freud raggiungeva il Mosè di Michelangelo, a San Pietro in Vincoli, e lo fissava, senza riuscire a reggere lo sguardo. Un’ossessione che prese forma in un libretto, una lettura originale di quella statua mito. L’ultima vacanza romana di Freud è del 1923. Durante il viaggio d’andata ebbe una emorragia, poi dolori insopportabili alla mandibola. I sintomi di un cancro alla bocca, che lo ucciderà anni dopo.
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