Giuseppe Verdi
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Adesso la vedete così, la targa bianca, i muri rosa, ma non doveva essere così Via di Campo Marzio 2, quando dal 13 gennaio al 12 marzo 1859 ospitò Giuseppe Verdi e la quasi moglie Giuseppina Strepponi. “Ma dove diavolo è?” si chiese lui, “E’ una bruttissima casa” commentò lei. Già arrivare a Roma, da Napoli, era stata un’impresa, via mare, in tempesta. Verdi, poi, schiumava di suo. Non era qua che doveva venire, a portare in scena “Un ballo in maschera”. Il Teatro San Carlo fu la prima commissione ma la censura fu più forte e per fare un torto ai napoletani contattò l’impresario romano del Teatro Apollo. Il Maestro andò alle prove e: - litigò subito con il soprano, che non riusciva a entrare nella parte. - litigò sempre di più con il soprano e se non fosse intervenuta la Strepponi di sicuro sarebbe andato tutto a monte. - se la prese poi con l’impresario, perché tranne il baritono e il tenore il resto del cast non gli piaceva. - si arrabbiò a distanza col Teatro alla Scala, quando seppe che a Milano, intanto, il Boccanegra aveva fatto flop. - si arrabbiò a distanza col Teatro San Carlo, quando seppe che a Napoli, intanto, gli avevan fatto causa. - si arrabbiò a prescindere, prima della prima, dicendo alla moglie che non avrebbe più scritto per il teatro. Il debutto di “Un ballo in maschera” fu un grande successo di pubblico. Più divisa la critica, ma a Verdi sembrava non importare. C’era una vita fuori dalle scene. In questi momenti, ognuno che abbia cuore di Italiano, deve giovare secondo le proprie forze alla santa causa che sta combattendo. W Verdi, che infatti diventò deputato e senatore del neonato Regno d’Italia, e che nel 1893 tornò a Roma un’ultima volta, a ricevere gli applausi del re per “Falstaff”. Questa sì la sua ultima opera.
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